Ru Z'ngariell nella tradizione
A cura di Maria Antonietta Gentile
"Jamme jamme, allegra, ca masséra ze sfruscia da zi Artur e èma ji p’ajetùa a pulì l mazzafurr!”
Così disse con tono gioioso mia cugina Miria in quel lontano giorno di settembre dei primi anni sessanta. Sarei dovuta partire dopo qualche giorno per tornare in collegio a Campobasso e non mi sembrò vero di poter prendere parte con parenti e amici ad un rito così diverso dal solito e di cui fino ad allora avevo solo sentito parlare: “la sfrusciata”, ovvero la spannocchiatura!
Non vi nascondo la mia gioia. E così verso sera, vestita da campagnola, entusiasta e felice, seguii mia cugina a casa dello zio Arturo. All’epoca i giovani non disdegnavano queste riunioni collettive, erano una delle poche e più divertenti occasioni per stare insieme e divertirsi tra amici. Con quelli che, come noi, abitavano nel quartiere “l’ara de ru prèite” (l’aia del prete) facemmo subito squadra.
Al centro del tavolo una montagna di pannocchie, ad un lato del tavolo noi giovani, all’altro lato le persone più mature. Si rideva e si scherzava mentre si lavorava e contemporaneamente nel camino bolliva “nu belle cuttur chjine d mazzafurr”: era il premio che ci spettava alla fine del lavoro e che avremmo gustato con particolare piacere.
Il lavoro procedeva a pieno ritmo nel chiacchiericcio generale. Ad un tratto sentii la voce dello zio che gridava: “Ru z’ngariell, ru z’ngariell! Stuta la luce, stuta la luce”. In un attimo fu tutto buio e nel buio sentii gridolini e risate, unite a battute varie di cui non capivo il senso. Dopo pochi minuti la luce si riaccese e intorno a me vidi che gente che ammiccava, rideva, commentava e si dava di gomito.
Poi mi spiegarono. Quando si trovava “ru z’ngariell”, ovvero la pannocchia viola, era tradizione spegnere la luce per dare a qualche ragazzo o corteggiatore l’occasione di abbracciare la sua innamorata. Inutile dire che i più arditi si spingevano fino al bacetto. Chi già sapeva rideva complice, gli altri se la spassavano tra frizzi e allusioni.
Non mi è capitato più di partecipare ad altre “sfrusciate” e di stare insieme a tutti gli amici di allora. Quella serata però me la porto nel cuore e con essa la consapevolezza dell’importanza del “carpe diem”: non rimandiamo mai a domani il momenti lieti che possiamo vivere oggi, anche se semplici e ingenui come il rito de “ru z’ngariell viola”.